domenica 3 agosto 2008

Ragazzi spariti, un vero flagello: "Per salvarli raccogliamo le impronte"

Parla Rino Monaco, commissario alle persone scomparse. Aumenta il numero di minori che si dissolvono nel nulla

Roma, 3 agosto 2008 - E’ necessario dotare i minori di una identità certa. Se vogliamo ridurre il rischio che i minori scomparsi finiscano in mano a criminali o organizzazioni che li plagiano o li abusano per le più diverse attività criminali, non ultima la pedofilia, il mio suggerimento è dotiamo i minori, tutti i minori sopra i quattro-sei anni di età, italiani e stranieri si badi bene, di una carta d’identità elettronica dotata di dati biometrici come le impronte digitali o l’immagine dell’iride». Rino Monaco, una gran carriera da poliziotto alle spalle, prefetto dal 1998 e già vicecapo della Polizia, direttore Criminalpol, dello Sco, è dall’anno scorso commissario straordinario di governo per le persone scomparse. E come ha sempre fatto, parla chiaro.
Quanti sono i minori scomparsi in Italia?«Dal 1983 al 31 gennaio 2008 sono state ricevute 12.015 denunce di scomparsa relative a italiani e 19.445 relative a stranieri. La stragrande maggioranza (10.258 italiani e 11.482 stranieri) è stata ritrovata. Ma mancano all’appello ancora 1757 italiani e ben 7963 stranieri. Molti casi riguardano allontanamenti volontari, specie da istituti e comunità di soggetti che nel frattempo sono diventati maggiorenni e quindi hanno il diritto di non dare notizia di sé, o che non hanno famiglia o hanno una famiglia disgregata che non ci dà notizie del loro ritorno. Ma ci sono ancora casi aperti. Per quanto riguarda gli italiani, quelli scomparsi per vere e proprie azioni delittuose e ancora da ritrovare sono 13, altri 9 sono stati ritrovati cadavere. E’ un fenomeno preoccupante, in costante aumento».
Secondo lei, dove finiscono questi ragazzi perduti?«Esclusi quelli sottratti da coniugi o conviventi, molti fuggono dagli istituti, dalle famiglie. Sono esposti, indifesi e finiscono dove capita. Si perdono. Finiscono per la strada. Molti finiscono vittime di persone senza scrupoli, se non di sette. O, molto spesso, sono preda della droga. Altri, specie quelli scappati da istituti, finiscono per tornare a delinquere. E le loro rischiano di essere vite bruciate».
Quanto conta il fatto che spesso alle spalle ci siano famiglie distratte o, peggio, in forte disagio?«Molto, e molto indubbiamente può e deve fare la famiglia. Ma non c’è solo la famiglia. Tanto può fare la scuola. Perché molti casi di abbandono volontario hanno come premessa l’abbandono scolastico, che può fare essere la spia di un disagio, e come tale andrebbe colto per tempo dagli educatori. E molto possono fare i servizi sociali, seguendo chi fa uso di droghe o ha disagi psicologici. E infatti una delle proposte che io ho fatto alla commissione parlamentare per l’infanzia è stata di migliorare il coordinamento tra le istituzioni. Ma la soluzione è in un ventaglio di interventi che prevede la creazione di una banca dati omogenea, ma anche di un sistema che attivi tutti i dispositivi elettronici come le telecamere cittadine, di banche e supermercati, e ancora preveda l’inserimento delle note di ricerca via radio sulle trasmittenti dei radiotaxi o sui baracchini dei camionisti, sui cellulari degli appartenenti alle associazioni di volontariato…».
Ma lei dice che serve anche la carta d’identità biometrica. E la privacy?«Guardi, io ho sacrosanto rispetto della privacy, ma avere i i dati biometrici di un bambino scomparso può davvero essere uno strumento decisivo, è qualcosa a loro assoluta tutela e garanzia. Ricorda la vicenda di Denise Pipitone, la bambina scomparsa a Mazara nel 2004? Quante volte si è detto che la bambina era stata ritrovata e poi si è rimasti con un pugno di mosche in mano? Se avessimo avuto i suoi dati biometrici sarebbe stato facile risolvere con certezza i molti casi di presunto riconoscimento che ci sono stati. La mia è una riflessione da addetto ai lavori, che offro sommessamente al Parlamento. Pensateci».

di Alessandro Farruggia

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